Sant’Ignazio di Loyola, negli Esercizi spirituali fa immaginare all’esercitante di essere presente la sera della cena, nella sala come un umile servitorello, e vedere con occhi stupiti ed entusiasti tutto ciò che accade.
La prima cosa che appare è la cura della sala: Gesù ha voluto quella sala, come i vangeli sinottici ci dicono, ha scelto il luogo bello, ampio e ha tenuto che fosse preparata con cura, nei dettagli.
La lavanda dei piedi, lo spezzare del pane non avvengono in un luogo qualunque, in un ambiente già conosciuto dagli apostoli, ma in una sala che doveva essere ampia, bella, che suscitasse novità, ma che mantenesse la fragranza della casa. Una sala accogliente, materna, rassicurante. Il gesto della lavanda dei piedi non è improvvisato, non è vissuto da Gesù come un dovere, come una cosa da fare e necessaria, deve essere stato un gesto curato e gustato con attenzione. E’ un gesto di amore fino alla fine, fino a farsi servo, ma che ha avuto a cuore il dettaglio, il particolare. La cura del dettaglio chiede che i gesti di amore non siano frettolosi, necessari. A volte si compiono gesti di amore estremi, intensi, ne realizziamo tanti anche noi nella giornata… ma ci sembra che non abbiamo avuto neanche il tempo di accorgercene tanto che potremo arrivare a sera avendo qualche dubbio su chi abbiamo amato e servito. Il dettaglio ci fa imprimere il cuore dell’altro, ci fa rimanere nella memoria eterno il gesto; la cura del dettaglio ci fa rendere conto di ciò che abbiamo fatto e ci fa felici. Amiamo tanto nella vita, ma spesso ne rimaniamo tutti un po’ delusi, sembra quasi che lo sforzo generoso ci abbia sfibrato, quasi stressato, impoveriti, inariditi. Ci stupiamo di questo, ci sembra una contraddizione; ci diciamo tra noi e noi “eppure ho amato”, ma non ricordo nulla e ne esco solo stanco e demotivato. Non sarà che abbiamo dimenticato il volto di chi abbiamo amato, non sarà che si è trattato di un gesto frettoloso e dovuto, preciso, rapido, senza cura empatica di ogni particolare, di aver compiuto gesti profondi senza essere entrati in relazione. Leggevo, quando ero parroco, vicino ad Ostia, all’ingresso di uno stabilimento questa frase che mi colpì molto e ho ritrovato: “l’amore è un dettaglio. Non è una questione di pienezza, di totalità. E’ invece una questione di gesti, di sguardi. Se mancano, manca l’amore”. Il gesto di Gesù deve essere stato lento, attento, senza distrazione, compiuto con elegante delicatezza e dolcezza, deve essere stato un gesto di attenzione verso ognuno dei suoi amici che deve aver trasmesso loro una empatia mai provata, deve essere stato un gesto che scaturiva da una sorgente inesauribile di affetto e di volontà di donazione.
L’altro aspetto che mi colpisce che deve essere stato un gesto cercato e voluto perché ne provava gusto. Sì, si tratta di amare perché si gusta l’amore e si gusta la vita. Quanti gesti ci sembrano che siano frutti dell’imposizione della vita, dalle regole comuni e condivise.. quante azioni senza il gusto. Si tratta stasera nel segno della lavanda di riscoprire il gusto di vivere, di essere testimoni di vite appassionate, piene, di vite dove ciò che conta non è ciò che faccio, ma ciò che gusto nel profondo e scoprire che la vita è gustosa solo se donata, solo se ci si abbassa per amore.
Il gesto del Signore deve aver avuto il sapore dell’unicità. Lo ha ripetuto dodici volte, lo stesso gesto, uguale nell’apparenza per tutti, ma deve essere stato un gesto vissuto come unico davanti ad ognuno. Quanto abbiamo bisogno di recuperare l’unicità di ogni atto di amore. Una carezza data ad un proprio compagno o compagna, un gesto verso un padre o una madre, un figlio o una figlia si ripeterà chissà quante volte nella vita. Il gesto fisico è lo stesso, ma quella carezza rimane unica, irripetibile perché ogni atto di amore, seppure sempre espresso con la stessa gestualità e fisicità, porta l’intensità di una sua unicità: ogni atto di amore autentico rimane sempre un gesto che sembra avere l’entusiasmo della prima volta e il sigillo dell’ultima. Ogni atto di amore ha una sua qualità che non è mai uguale a quello precedente. Se dovessimo percepirne la monotonia stanca, dobbiamo dirci con onestà che dobbiamo risvegliare la freschezza della motivazione interiore e recuperare l’emozione della prima volta.
Infine il mettersi in ginocchio del Signore doveva avere il sapore della gratitudine. La celebrazione del giovedì santo ha una sua bellezza perché sembra che sia forse un momento dove Dio non ci chiede nulla, ma semplicemente ci ringrazia. Gesù oggi si inginocchia davanti a te papà e mamma e ti dice grazie perché hai dato la vita, perché la consumi ogni momento per amore verso i tuoi figli, Dio ti dice grazie per come sei padre e madre, perché hai dato la vita senza risparmiarti. Stasera ti vuole dire che non sei lontano, anche se a te sembra così: ti vuole dire che gli assomigli, che sei vicino al suo modo di amare, ti vuole dire grazie per come sei e per esserti messo in gioco nell’amore al punto di generare. Oggi Gesù si inginocchia davanti a te nonno e nonna, a te anziano che sei solo e ti sembra di aver già dato. Ti ringrazia perché Dio non dimentica tutti i tuoi gesti e tutte le tue intenzioni di amore autentico, ti ringrazia perché ogni tuo gesto ha portato frutto perché è sgorgato dalla tua fede, dalle tue ferite e dal segreto di qualche tua lacrima; oggi Gesù si inginocchia davanti a te giovane, ragazzo e ragazza, per come stai sognando la vita, perché i tuoi sogni non sono ristretti, perché vede che desideri mete alte e che intravedi che vuoi vivere per amore, avendo cura di chi incontri, avendo passione generosa, avendo cura dei dettagli della tua esistenza. Oggi Gesù si inginocchia davanti ai nostri bambini e dice loro grazie per la trasparenza del loro amore. Si inginocchia davanti a chi è solo, a chi è malato e crede di non aver maturato nulla per amore, di non aver potuto esprimere tutto ciò che aveva nel cuore, di aver mancato a qualche possibilità nella vita: Gesù ti dice grazie perché sa leggere che hai amato nel segreto con rettitudine e onestà di cuore e che la tua stessa solitudine è la più alta offerta di amore.
In quella sala si chiede, infine, di spezzare con gusto il pane e condividerle un pezzo e passarlo poi agli altri. E’ il gesto dell’abbondanza: mentre si divide, il pane sembra moltiplicarsi. Mentre si passa un pezzo di pane, mentre si compie un gesto di amore gratuito improvvisamente l’amore si moltiplica. Stasera abbiamo tutti la certezza che ogni nostro atto di amore ha aumentato la presenza di Dio nel mondo. Ogni Eucarestia celebrata nel più piccolo villaggio della terra, aumenta la sua presenza tra noi: ogni gesto di gratuità che sia memoria viva del pane spezzato permette a Dio di allargare la sua presenza nella storia. A noi la responsabilità di continuare a spezzare il pane, a noi la responsabilità di non interrompere i gesti eucaristici, a noi il compito di aumentare i gesti di servizio e di delicatezza per fare il mondo più ricco di Dio. Oggi sentiamo nel cuore la gioia perché ognuno di noi mentre ama, rende la storia più ricca di Dio. Non sentiamoci orgogliosi, ma il nostro amore impregna dell’unguento dell’amore di Dio gli spazi dove abitiamo ed esistiamo ogni giorno.
In quella sala c’è purtroppo oltre che il servizio e il pane, l’orizzonte amaro del tradimento. L’amarezza non porta delusione definitiva, l’ombra del buio, per quanto sembra intristire la sala, non riesce però a oscurare la certezza che siamo amati; sempre. Le nostre fatiche, le nostre chiusure, le nostre fragilità non faranno mai ritirare Dio nell’amore. Il suo amore ci precede sempre e sa trasformarsi in comprensione, talvolta anche giustificazione, sicuramente in abbondante misericordia. Stasera non c’è spazio per perdersi: i miei tradimenti, qualche mio limite o peccato, non fermeranno mai la tenerezza con cui Dio continua ad amarmi. Stasera, mentre Gesù si piega fino a farsi servo, anche Giuda ha la possibilità di tornare innocente.
Santa Teresa d’Avila scriveva: “«quando pensiamo a Cristo, ricordiamoci sempre dell’amore con cui ci ha fatto tante grazie e quanto è grande l’amore che Dio ci ha mostrato nel darci un segno di quanto ci ama; amore trova amore. E anche se ciò è solo all’inizio e noi molto mal messi, procuriamo di ricordarlo sempre e così di svegliarci ad amare; perché se una volta il Signore ci dona la grazia di imprimerci nel cuore questo amore, tutto ci diverrà facile e ci metteremo all’opera in brevissimo tempo e senza sforzo. Sua maestà, che sa cosa ci conviene, ce lo conceda per l’amore che ha per noi e per il suo glorioso Figlio che a sue spese ce lo ha mostrato.”
Pensando a S. Teresa la piccola, Santa Teresina con lei possiamo dire: Il tuo amore mi ha prevenuta fin dall’infanzia, è cresciuto con me e ora è un abisso del quale non riesco a sondare le profondità… L’amore attira l’amore, perciò, mio Gesù, il mio si slancia verso di te… Per amarti come mi ami tu, devo fare mio il tuo amore, solo allora trovo riposo»
Preghiamo perché mai nella vita ci allontaniamo da questa sala della Cena e ne rimaniamo sempre umili servitorelli: sia una sala dove recuperiamo in continuazione la limpidezza della vita e mi auguro che questa nostra Parrocchia diventi una sala come quella dell’ultima cena, dove tutti veniamo a scuola di amore abbondante, certo, autentico e definitivo. L’Eucarestia che celebriamo spesso insieme diventi di volta in volta un atto unico, straordinario, che ci insegni a tutti come vale la pena spendere la vita.
Dico grazie stasera a questi dodici papà che, avendo messo al mondo dei figli, sono testimonianza che l’amore conosce solo il dare senza misura, il perdere senza trattenere, il trovare pienezza avendo perso se stessi; grazie perché la vostra vita lascia ai vostri figli in eredità l’unica cosa che vale: l’amore senza calcolo, fino alla fine. Gesù sapendo di aver avuto tutto dal Padre non esita ad alzarsi; ci vuole il coraggio a togliersi le vesti del nostro io e a far diventare il grembiule l’abito della vita e della festa. Che il Signore doni a tutti la gioia di questo coraggio. Amen.
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