Nell’anniversario della morte del giurista e politica per mano delle Br, l’incontro con il figlio Giovanni a San Roberto Bellarmino, dove 44 anni fa furono celebrati i funerali. «Un lascito di mio padre: non bisogna reagire al male subito rivalendosi sulle istituzioni»
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Nel ricordare «la cosa più importante che ho imparato da mio padre», Giovanni Bachelet, figlio di Vittorio, ha affermato che il magistrato ucciso nel 1980 dalle Br «ha dimostrato con i fatti durante la sua vita che il perdono è una cosa di cui abbiamo bisogno, alla luce della certezza del perdono di Dio, che ci accetta e ci accoglie anche se non siamo sempre buoni». Nella chiesa dove 44 anni fa furono celebrati i funerali del giurista e politico, quella di San Roberto Bellarmino, a piazza Ungheria, ieri, 12 febbraio, anniversario della morte del padre, Giovanni Bachelet ha cioè dimostrato che le parole di misericordia rivolte allora agli assassini furono «un seme di riconciliazione» e il segno di un «retaggio familiare», come ha sottolineato il giornalista Angelo Picariello, moderatore dell’incontro curato dall’Azione cattolica parrocchiale e che ha visto la partecipazione anche di Giuseppe Notarstefano, presidente nazionale dell’Ac.
In particolare, Bachelet ha osservato come il clima politico di terrore in cui avvenne l’omicidio del padre era dominato sia «dall’idea di spaventare le persone, così da fare in modo che non accettassero le loro responsabilità», sia da «una propaganda che presentava il nostro Paese come vittima», tanto che «i terroristi, ai quali apparteneva anche una mia compagna di università, erano convinti di fare il bene del popolo». Alla luce di questa impostazione di fondo, per Bachelet «l’attenuante possibile per queste persone è la preghiera di Gesù sulla croce: “Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno”» e, ancora, vi è la convinzione, «un lascito di mio padre», che «non bisogna reagire al male subito rivalendosi sulle istituzioni».
Rispetto a questo, Bachelet ha sottolineato che «papà sarebbe contento dell’articolo 27 della Costituzione» perché «è importante non andare contro il senso di umanità nell’applicazione delle pene», così come conta «la rieducazione del condannato», la cui riabilitazione, una volta uscito dal carcere, dipende anche «dalle condizioni in cui si trova lo Stato: un terrorista uscendo di prigione non trova più il terrorismo e può rifarsi una vita mentre il mafioso fa più fatica perché la mafia non è stata sconfitta», ha evidenziato. Ancora, il richiamo al 41bis, ossia al regime del carcere duro, che per Bachelet «non deve infierire sui detenuti» in quanto «è stato utile poiché c’è stata un’emergenza, come il terrorismo, che però è finita», e «le garanzie sono molto importanti per ogni cittadino e ci sono diritti da non togliere».
Va riconosciuto, insomma, che «c’è stato un tempo in cui nella società c’era un equilibrio imperfetto» che ha condotto al clima di terrore «di cui anche mio padre era consapevole ma dal quale non si è lasciato fermare e spaventare», sono ancora le parole di Bachelet; ma va altrettanto ricordato che «c’è stata un’evoluzione, così come ci siamo evoluti dal tempo della clava e siamo giunti a regimi democratici dove le persone si esprimono con il voto», a dire che è fondamentale guardare «alla civiltà umana».
Alla lezione di «umanità e mitezza di Vittorio Bachelet» vuole «attingere in questo tempo della storia che sembra averne bisogno» anche l’Azione cattolica, «la forma associativa che lui stesso ha contribuito a plasmare», ha detto Giuseppe Notarstefano, ricordando che «l’Ac, a servizio della Chiesa, non vive per sé stessa ma per il mondo». Nello specifico, il presidente nazionale ha sottolineato «l’intuizione straordinaria di Bachelet: vivere l’immersione e il rinnovamento della società, una cifra dell’Ac da recuperare aprendosi al mondo, cercando di testimoniare una carità e un’inclusione vere».
All’inizio dell’incontro aveva portato «il saluto della presidenza diocesana» Chiara Sancin, segretaria dell’Azione cattolica di Roma, guardando allo «stile del servizio e della gioia di Bachelet, che tanto ha dato al mondo civile e della Chiesa». Di una figura «retta di cuore e onesta» aveva invece parlato nella sua omelia, nel corso della Messa che ha preceduto l’incontro, don Antonio Magnotta, parroco di San Roberto Bellarmino.
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