Carissimi,
siamo nel Cenacolo come quella prima sera. Chiedo con voi la grazia di percepire in questa Chiesa la stessa atmosfera di quella sera: quanto darei per percepire, anche se non ne sono degno, quello che passava nel cuore di Gesù in quella mensa pasquale. Vorrei chiederti, Spirito Santo, di percepirne almeno un frammento, almeno per un istante. Mi permetto di chiederlo ad alta voce: quando tra poco consacreremo il Pane e il Vino come nell’Ultima Cena, vorrei percepire il cuore innamorato di Gesù, vorrei partecipare ad un pezzettino di quell’amore che è capace di andare fino alla fine. Quanto vorrei che tutti noi stasera ci sentissimo dolcemente uniti e respirassimo aria di festa, d’intimità, di legame genuino e autentico. Stasera, quest’altare abbia il sapore, il gusto fragrante del pane, del pane spezzato e condiviso. Preghiamo perché possiamo guardarci tutti negli occhi e passarci il pane , un frammento di pane, con cuore riconciliato, con la nostalgia del bene, con l’onestà di essere fratelli. Questa è la Santa Messa che ci dona l’orgoglio della nostra vita: siamo contenti tutti della vocazione che abbiamo ricevuto, siamo grati per ciò che Dio ci ha consegnato e ci ha chiesto. Oggi diciamo tutti insieme il nostro sì alla volontà del Signore, all’essere padre e madre, sacerdote , consacrata, giovane e bambino, uomo e donna, figlio o fratello, sorella e amico, amica. E’ oggi la festa anche del sacerdozio. Oggi noi sacerdoti rinnoviamo le nostre promesse. Sono contento e desideroso di ripetere con convinzione davanti a voi che sono proprio contento di essere sacerdote, felice di questo regalo immenso che ha riempito la mia vita: non riuscirei a pensarmi in una vita diversa da questa, grato per poter essere pastore e felice di esserlo ora in questa comunità di san Roberto. In questi ventisei anni di sacerdozio è la settima volta che presiedo come parroco la Messa del Giovedì Santo: cinque volte a San Corbiniano e per la seconda volta a San Roberto. E’ bello essere qui a nome del Vescovo, di presiedere a suo nome questa Eucarestia, e di dire a tutti la sua paternità e la sua premura. E’ bello sentirsi sposo di questa comunità di San Roberto, una sposa affascinante e impegnativa, seducente e affidabile. E’ la Messa in cui sentiamo anche l’orgoglio di essere comunità. In tanti laboratori anche di esperti, in riunioni di sacerdoti con troppa facilità, mi pare, si arriva a dichiarare la fine della parrocchia, il non senso di come oggi la si vive e la si conduce. Mi permetto nel mio piccolo di esprimere invece la bellezza della Parrocchia: è la Chiesa prossima alla gente. Come decretare la fine di una realtà dove invece tutti si avvicinano quando nascono e quando muoiono, quando si sposano o quando hanno bisogno di silenzio e di ascolto, quando hanno bisogno di fermarsi incontrare la Parola Vivente, Gesù? Bella è, invece, la parrocchia quando sa essere madre che genera, comunità viva in azione, sinfonia bellissima con un unico spartito espresso da un presbiterio unito, da uno scambio tra generazioni, da un appartenere che ha radice nello Spirito vivo e sereno. Entro così, con questi sentimenti, con voi nella pagina di Vangelo appena ascoltata, una dei gesti più alti e intensi vissuti dal Signore.
La pagina si apre con due sapienze, due cose che il Signore sa e che diventano il contesto che lo spingono ad alzarsi e a lavare i piedi dei suoi discepoli. Gesù, dice il Vangelo, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre….” È bella questa prima sapienza di Gesù. Sa che è il momento di compiere questo passaggio, dal mondo al Padre. Ogni Eucarestia ci consente il passaggio. Tutti noi siamo chiamati a fare Pasqua passando dal mondo al Padre. Sappiamo bene cosa chiede questo passaggio: ci chiede una spoliazione. Passiamo al Padre se attraversiamo il mondo , spogliandoci da noi stessi. Spogliarci dal nostro io è il primo passo, spogliarci dalle nostre presunzioni, spogliarci dal nostro orgoglio e dal pensare proprietà privata i nostri talenti. Bisogna spogliarsi da se stessi, dalle proprie abitudini per entrare nelle cose del Padre, per respirare del suo respiro, alitare del suo alito, per donare al mondo solo quelle cose intime, quella relazione intima con il Padre, perché senza di Lui, saremmo troppo avvinghiati a noi stessi. Passare dal mondo al Padre significa spogliarsi dalle cose, dai beni, dalle proprietà private, dal legame con il mondo e i suoi criteri, significa assumere invece i criteri delle cose del cielo, significa rimanere in Lui perché la nostra vita sia paradiso, sia cielo. Passare dal mondo al Padre significa anche spogliarci dagli affetti sicuri e morbosi, dal dominio dei cuori posseduti e trattenuti, significa sapersi congedare dalle persone, amarle senza possederle, accoglierle senza volerle dirigere, ascoltarle senza imporsi, abbracciarle senza pretendere il legame, baciarle senza cercare il proprio interesse, capaci di consegnarle al cuore del Padre.
Gesù, insegnaci la sapienza di passare dal mondo, dal mio mondo cui sono legato, e che spesso m’impedisce di gustare le cose del Padre mio. Solo di queste desidero occuparmi; il pane dell’Eucarestia mi porti a passare dal mondo al Padre. Che bello se il Giovedì santo ci renda esperti solo delle cose del Cielo, esperti del servizio, esperti di atteggiamenti, di visioni della vita che sanno di cielo, che sanno di cuori spogliati, ma ricchi solo di paternità dall’alto.
L’altra sapienza di Gesù è sapere che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava.
Stasera mentre spezzerò come ministro di Dio nelle mie mani il Pane, penso che se ho Te nelle mani , Signore, ho davvero tutto. E’ quello che a volte ho pensato con le lacrime agli occhi: l’ho scoperto quando ho celebrato l’ultima messa nella parrocchia dove ero parroco, l’ho percepito vivo quando ho celebrato la messa di congedo dai miei genitori, quando ho avuto paura di perdere qualche sicurezza e stando sull’altare ho compreso che in quel pezzo di pane mi veniva dato davvero il centuplo, ho compreso, a volte con fatica, che Egli ci ha dato tutto nelle mani perché ci ha dato se stesso: se ho Te, Signor,e non mi manca nulla. Ho capito che è un atto di coraggio celebrare l’eucarestia e riceverla: quando ci presentiamo davanti al sacerdote ci vuole coraggio perché ricevere il Pane è sapere che solo quel Pane e solo quello è tutto davvero, è la chiave per vivere sul serio! La mia vita non manca di affetto, non manca di pace, non manco di nulla perché posso stringerti nelle mie mani e vorrei morire che le mie mani siano pure, ricche solo di Te. Ho avuto tutto da te, Signore. Cari genitori, quando abbracciate i vostri figli avete tutto, avete Cristo nelle vostre mani, quando li baciate avete il Signore in persona in mezzo a voi… … Signore, toglici tutto nella vita, toglici tutto, ma fa’ che non perdiamo mai l’amicizia con Te. Davvero, Signore, donaci il coraggio di abbandonare ogni cosa in te, di riconsegnare tutto a Te, tutto di noi ti appartiene e tutto sia solo Tuo. Tu, come direbbe Sant’Ignazio, dacci solo il tuo amore e la tua grazia, perché solo questo, per davvero ci basta!
Tra poco avrò l’onore di esprimere il mio sacerdozio nel gesto della lavanda dei piedi; mi emoziona pensare che questo gesto viene compiuto a degli uomini che hanno messo al mondo dei figli e che sono segno della paternità di Dio. Nel lavare i vostri piedi è per tutti noi come fare un bagno nella paternità di Dio ed operare questo passaggio al Padre. Cari padri di famiglia, voi stasera ci aiutate a compiere questo passaggio al Padre e qui si tocca con mano la vostra vocazione di padri. Noi così c’inchiniamo davanti a voi e anche io come pastore m’inchino davanti a voi per la grandezza della vostra vita… Cristo vi lava i piedi e vi onora perché con la vostra esistenza di ogni giorno, fatta di fatica, di ansia, di conquiste, di insuccessi e soddisfazioni voi aiutate i vostri figli a fare questi passaggi continui da questo mondo al Padre. Così vi ringrazio a nome della Chiesa perché ci sono degli uomini, che siete voi, che non si sono tirati indietro davanti alla vita e che nell’onore della vostra paternità ci sapete far gustare la paternità sicura e fedele di Dio. M’inchino davanti a voi perché Dio vi è grato per quello che siete, perché i vostri piedi si sono già consumati di amore per i vostri figli; m’inchino davanti a voi perché voi sapete bene cosa vuol dire dare vita! Per questo c’inchiniamo e vi laviamo i piedi e nello stesso tempo guardando voi vorrei sentiste tutta la vicinanza della Chiesa che vi è al fianco in questo compito difficile, d’insegnare a lasciare questo mondo e di passare nelle mani di Dio Padre. Oggi non è facile passare da questo mondo al Padre, consegnare questo mondo al Padre. Ma stasera la Chiesa ci fa vedere la luminosità di questo cammino: oggi la chiesa ci dice che si vive solo quando non si possiede, oggi la Chiesa ci dice che si vive solo se tutto può tornare all’essenziale, se tutto viene rimesso nelle mani di chi ci ha dato la vita, oggi la Chiesa ci fa vedere che si vive solo se ogni conquista non è un possesso, ma occasione di riconoscere un dono, se si sa dire grazie e così fare eucarestia vera, se si sa apprezzare chi ci aiuta a puntare in alto, se si comprende che si vive se ci si spoglia, perché se le conquiste rimangano nelle nostre mani rimaniamo morti dentro il nostro orgoglio e il nostro egoismo; si vive solo se si consegna tutto in mani sicure, di un Padre, in mani che ci benediranno e moltiplicheranno in bene per molti, quello che avremo raggiunto e conquistato. Allora nel lavare i piedi di un papà, di dodici papà è come se volessimo consegnare al Padre tutto di noi; ci mettiamo per terra perché tutto sia del Padre. E’ quello che ha fatto Gesù e così ringrazio i papà di questa parrocchia che ci aiutano a compiere questo passaggio e v’incoraggio a non avere paura: continuate ad aiutare i vostri figli a diventare come voi coraggiosi testimoni di gratuità, continuate a far sentire ai vostri figli che si vive alla grande se si ha il coraggio di non attaccarci a ciò che siamo, ma solo se si sa continuamente ritornare alla sorgente di ciò che siamo e non si perde mai la consapevolezza di essere figli. Solo se rimaniamo figli, si è liberi. Così c’inginocchiamo da figli davanti a dei padri stasera, perché se ci riconosciamo figli sapremo essere padri. Così anche io stasera come sacerdote vorrei sentirmi vostro figlio, per ritornare a gustare dentro di me la perenne stabilità di essere figlio del Padre del cielo. Grazie, cari papà di San Roberto, che ci date questa possibilità. E così stasera vorremmo non avere paura del catino e dell’asciugamano, degli attrezzi di lavoro, non abbiamo paura di consumarci nel modo che il Padre ha pensato per noi. Stasera prendiamo volentieri in mano il catino e l’asciugamano e buttiamoci con zelo, senza calcolo, a fare del bene. Più riusciamo a consegnare qualcosa al Padre più ci realizzeremo veramente! Amen.
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